Migliaia
Vivevamo in un tempo in cui le parole erano contate, ce la siamo fatti così l’adolescenza noi. Con pochi messaggi al giorno sul cellulare, con le attese quelle che duravano ore. Ricordo che io ero una delle poche a non avere ancora il telefonino in terza media, e allora prendevo i caratteri alle amiche e aspettando le risposte si rimaneva col fiato sospeso in due. La tecnologia mi ha sempre raggiunta dopo. E se allora mi sembrava un’ingiustizia, oggi, da qui, la vedo come una sana giustizia.
Siamo cresciuti senza i social, con il fare che veniva scoperto solo se condiviso di persona, non spiato, rubato, interpretato da qualcosa messo online. Avevamo percezioni differenti per le cose che accadevano a noi e al mondo: sapevamo meno sembra, io dico che sapevamo il giusto.
Non c’erano nemmeno le foto sui telefoni all’inizio; per vedersi ci si doveva toccare, perlomeno con il respiro o immersi nella stessa aria.
Quanto batteva forte il cuore quando per caso si incontrava la persona che ci piaceva? Oggi, quel caso, esiste ancora? Non so se è uguale, ma a me certamente quel cuore batte ancora così, grazie al cielo.
Figurati le visualizzazioni poi, la doppia spunta, le videochiamate. Mi manca quel tempo in cui gli amori e le catastrofi avevano un tempo più lento e naturale per accadere: erano diluite, e oggi è tutto così concentrato, invece.
E pensare che ancor prima si scrivevano le lettere a mano, con la calligrafia propria e uguale a quella di nessun altro. Con i baci stampati, le foto in bianco e nero e quei minuti che oggi in modo ridicolo ci tengono sospesi, erano giorni, settimane, mesi. Il sentimento aveva tempo e non fretta, l’amore era tessuto a mano e con pazienza; l’ego smontava come schiuma al sole. Serviva essere saldi, si nutriva una fede certamente diversa da quella richiesta oggi. Che è più svuotare ora, mentre prima era riempire. Dal troppo poco al troppo, cambia il “poco” che è tutto. Prima c’era la fame, ora c’è la nausea per l’eccesso.
Sarà la pioggia, sarà questo tempo innaturale, sarà la distanza dei corpi: oggi sento nostalgia come avessi cent’anni; e invece chissà, magari ne ho migliaia.
Gloria Momoli